A questo punto inizia per Giovanni una vita feconda di prodigi, a mezzo suo operati dall’Altissimo a glorificazione del suo servo e ad edificazione del popolo caccamese. Li narreremo per ordine, attenendoci scrupolosamente a quanto è stato scritto dai biografi.
Le pietre per la Chiesa
Mancava la calce e non si disponeva dei mezzi per far trasportare le pietre occorrenti. Giovanni, alzato lo sguardo al Cielo, ne implorò il soccorso; ed ecco apparire sulla piazza della nuova chiesa un grande carro carico di pietre calcaree e tirato da quattro buoi, guidati da un bellissimo giovane. Questi appena deposto il materiale, disparve unitamente al carro ed agli animali. Con quelle pietre i muratori costruirono presso le febbriche già iniziate una grande fornace, e vi appiccarono il fuoco; ma sul più bello scaturisce nel mezzo di essa una vena d’acqua che, spento il fuoco, minacciava di mandare tutto in rovina. Accorre Giovanni, chiamato d’urgenza da quegli operai, e con un segno di croce fa ritirare l’acqua sicchè tutto ritorna come prima.
Dopo qualche giorno, i muratori si avvidero che per il lavorio del fuoco molte pietre si erano disgregate, tanto che la fornace correva pericolo di ruinare; avvertirono allora di ciò il Padre Giovanni. Siccome era l’ora di pranzare, questi disse loro che ritornassero a casa, che più tardi si sarebbe provveduto a tutto; ma alcuni di essi, desiderosi di assistere a qualcuno dei soliti prodigi, anzicchè andar via, si nascosero dietro alcune piante così da poter assistere all’accaduto senza essere visti.
Ed ecco Giovanni appressarsi alla fornace, e, fattosi il segno della croce, entrare tra le fiamme, riordinare le pietre con le mani e con le spalle ed uscire poco dopo illeso come vi era entrato. Avvedendosi poi di essere stato osservato, esortò quei muratori a ringraziare Iddio, ad aver fede e a non dire ad alcuno quanto avevano veduto. Quelli però non seppere frenare la lingua, ed il prodigio, divulgatosi per la città, divenna l’argomento principale di ogni discorso.
L’agnellino Martino
Era stato regalato a Giovanni un agnellino bianco e ricciuto, delizia dei suoi buoni frati che lo chiamavano Martino, e lo tenevano a pascolare nella campagna presso la chiesa in costruzione. Una mattina i muratori, approfittando dell’assenza dei frati, uccisero l’agnellino; ne arrostirono e mangiarono le tenere carni, e, perchè non rimanesse alcun indizio del reato, gettarono nel fuoco la pelle, le ossa e le interiora del povero animale e ripresero il lavoro. Più tardi ritornò il padre Giovanni, e, non trovato l’agnellino al solito posto, nè altrove, domandò dove fosse ai muratori. – Non l’abbiamo veduto – risposero questi. – Ebbene – rispose il santo frate – vedremo se risponderà alla mia voce. In così dire chiamo forte: Martino, vieni qua! Un lungo belato si sprigionò allora dalla fornace; e d’un tratto si vide venir fuori nella sua integrità e nel rigoglio della vita il grazioso agnellino che, avvicinandosi al santo, prese a lambiargli le mani. Dopo ciò Giovanni rimprovero severamente quei furfanti che confusi, avviliti dinanzi a cotanto miracolo, caddero ginocchioni ai piedi di lui, implorando il perdono.
La guarigione del nipotino dell’operaio
Un operaio, certo Giovanni Marco, lavorava in una cava di pietre per incarico avuto dal Liccio. Accanto a lui trastullava un suo nipotino. Or avvenne che, essendosi questi avvicinato al masso nell’istante medesimo in cui lo zio vibrava il colpo di mazza, gli fu frantumato il capo dal pesante strumento; sicchè cadde a terra privo di sensi e immerso in una pozza di sangue. Accorsi sul luogo i parenti del bambino, spaventati per la gravità del male anzicchè ricorrere al medico implorarono l’aiuto di Giovanni, il quale, fasciato il capo col proprio fazzoletto, ordinò che il bambino fosse trasportato a casa e posto a giacere sul letto. Più tardi si recò a visitarlo e gli fece togliere la fasciatura. Il capo non presentava più alcun segno mortale del colpo ricevuto: il bambino era interamente guarito.
Il chiodo sul piede dell’operaio
Mentre si costruiva la chiesa, un acuto chiodo trapassò, non si sa come, un piede d’uno dei muratori, il quale, non potendo più lavorare, fu costretto ad andarsene a casa. Se ne dispiacque Giovanni e per venire in suo aiuto sputò a terra, mischiò la saliva con la polvere, applicò alla ferita del povero uomo quello strano medicamento. Incredibile a dirsi! Il male scomparve in un istante; e così l’operaio potè far ritorno al suo lavoro.
I materiali terminati
A metà della costruzione vennero meno i materiali; sicchè una sera i muratori si presentarono a Giovanni, dicendo che l’indomani non sarebbero venuti a lavorare. Non si turbò per questo il santo frate; ma rispose agli operai che tornassero all’indomani, poichè non sarebbe mancato nulla loro. La mattina infatti, si vide apparire un bel giovane che guidava un grandissimo carro, tirato da buoi e carico d’ogni sorta di materiali. Deposti i quali, il giovane disparve unitamente al carro, rimanendo i buoi. Questi stessi buoi, condotti da un penitente di Giovanni in contrada Piani in occasione delle feste di Natale, si trovarono d’un tratto nel punto stesso donde erano partiti, cioè, in prossimità del convento, dove si tenevano a pascolare. Si narra come Giovanni al buon uomo che, tutto dispiaciuto, era venuto a dirgli di averli smarriti, avesse risposto sorridendo: Sta tranquillo, che i buoi son qui presso che pascolano; non te lo dicevo io che essi non sarebbero stati con te, essendo di paesi lontani?
Il miracolo delle travi allungate
I muri della chiesa erano già terminati e non rimaneva che costruire il tetto. Giovanni fece venire da Palermo le travi occorrenti, travi artisticamente lavorate con disegni ed immagini di santi domenicani; ma quando i muratori vollero provare se corrispondessero alla misura stabilita, dovettero constatare che la loro lunghezza mancava di quattro palmi. Fu una delusione assai dolorosa. Giovanni però, lungi dal conturbarsi, esortò quei muratori a collocare le travi sui muri ed a sperare nell’aiuto del Signore. Così fu fatto, e con grande meraviglia di tutti le travi risultarono della voluta dimensione. Il miracolo era stato operato.
Il pozzo del Beato Giovanni
Nei primi di Gennaio 1488 il tempio e il convento erano terminati. Non occorrendo più calce, Giovanni fece scavare un pozzo là dove sorgeva la fornace; poi con un segno di croce vi fece scaturire l’acqua che prima aveva fatto sparire, ed il pozzo ne fu ripieno. Questo pozzo che esiste tuttavia, è stato chiamato il pozzo del Beato Giovanni.
La cacciata dei demoni
Finita la chiesa, un giorno Giovanni convocò il popolo sulla piazza della chiesa; e, dopo aver dimostrato com’esso, per il passato, anzicchè Dio avesse servito il demonio, che, resosi padrone delle anime e di tutta quanta la città, aveva preso stanza nel vicino boschetto, indusse gli astanti a pentirsi delle loro colpe ed a fare fermo proponimento di non offendere più il Signore; ciò che fecero tutti a voce unanime. Allora Giovanni evocò i demoni. Comparvero essi sotto forma di corvi innumerevoli, gracchiando e agitando fortemente le ali nere. La folla a tale apparizione si spaventò molto; ma il santo frate la rassicurò, e, fatta dichiarare dagli stessi demoni la ragione per cui se ne stessero nel prossimo boschetto, impose loro in nome di Dio che abbandonassero la sua città ritornandosene all’inferno. E i demoni disparvero, non senza aver gettato fortissimi urli, lanciato faville, sparso dovunque un acre odore di zolfo.
Il pane della vedova povera
Una volta Giovanni nell’attraversare una via della città sentì delle grida provenienti da un misero tugurio. Domandò chi lo abitasse; ed appena ebbe appreso che vi abitava una povera vedova carica di figliuoli andò a trovarla. Uno spettacolo commovente si presentò ai suoi sguardi: otto figliuoletti strillavano, chiedendo del pane alla povera vedova madre, mentre questa gridava e dava nelle smanie per non avere quel giorno di che sfamarli. Giovanni la confortò con amorevoli parole, esortandola a soffrire per amor del Signore ed a sperare nella divina provvidenza; e andò via dopo averle dati i pochi soldi che teneva in tasca ed averle detto che venisse al convento nell’ora del desinare, dove avrebbe ricevuto una più larga elemosina. La povera vedova non mancò di presentarsi alla porta del chiostro all’ora stabilita; ma dovette rimanere disillusa quando Giovanni non le diede che un pane di forma rotonda. – O padre Giovanni – disse la donna – che debbo fare con questo solo pane? Esso appena basterà per sfamarci stasera. – Vedrai che non sarà così – riprese il servo di Dio – osserva piuttosto il più assoluto silenzio e ringrazia il Signore che ha avuto pietà di te. La sera la povera vedova mangiò una parte di quel pane coi suoi figliuoli, e serbò il resto in una cassa. Apertala l’indomani, con suo grande stupore trovò il pane tal quale l’aveva ricevuto dal suo benefattore; comprese allora il significato delle parole di lui, e, ringraziato il Signore, non confidò ad alcuno l’avvenuto prodigio. Questo miracolo continuò per otto anni di seguito come scrive il p. Tuso; cessò del tutto quando la vedova, non sapendo resistere alle insistenze delle sue vicine che le domandavano in qual modo lei così povera avesse potuto sostentare i figliuoli, svelo loro il segreto.
L’uomo guarito dal carbonchio
Camminando un giorno per una certa via, Giovanni incontrò un povero uomo suo penitente con mezza faccia gonfia per un carbonchio che da qualche giorno vi era spuntato. Stava a confortarlo, com’era uso di fare con tutti gl’infermi, quando passò il medico. Il povero uomo credette opportuno presentarsi a lui affinchè gli desse qualche rimedio; però, quando il medico, constatata la gravità del male, sentenziò occorrere almeno tre mesi per guarirsi interamente, fu preso da uno scoramento indicibile. – Non temere figliuolo – gli disse allora Giovanni – abbi fede in Dio e ben presto sarai guarito. Alla presenza del medico, sputato che ebbe a terra, formò un pò di loto, e con questo unse la parte ammalata. Ad un tratto scomparve il carbonchio e il gonfiore alla faccia; il medico avendo visto la scena, non si stancava di ripetere a tutti: è un gran santo il padre Giovanni.
La guarigione della piaga cancrenosa
Un tale era gravemente infermo, avendo al capo un piaga cancrenosa. Andato Giovanni a visitarlo, trovò che il chirurgo gli stava togliendò le fasce per eseguire la consueta medicatura. Un odore nauseante si diffuse per la camera all’apparir della piaga: essa fu trovata nelle peggiori condizioni di prima, sicchè il medico, visti riuscir inutili tutti i mezzi terapeutici da lui adoperati, disperava ormai di salvarlo. L’infermo e i parenti erano costernatissimi. – Non vi confondete, no – disse Giovanni; e, fatto un segno di croce sulla piaga, la guarì ad un tratto con grande consolazione degli astanti che lodarono Iddio per il miracolo operato a mezzo del suo servo. Nell’uscire da quella casa il medico andava dicendo: il padre Giovanni è un vero santo, con un segno di croce sana piaghe incurabili!
Le spighe stracariche di grano
Un giorno, un penitente del nostro Liccio, certo Pinnavaria, volle condurre il suo padre spirituale in un podere di sua proprietà, sito a breve distanza dal paese. Era il tempo della mietitura; ma quell’anno lo scirocco aveva danneggiato seriamente le messi, tanto che le spighe, essendosi disseccate prima che il grano venisse a maturazione, erano vuote. Il povero Pinnavaria nel mostrare al servo di Dio quello sterminio era visibilmente commosso. Sul tardi, poi, nel lasciare il podere ordinò ai figli che, a scanso d’inutili fatiche, vi facessero pascolare i buoi; Giovanni però si oppose a tale disposizione; ed esortato il contadino a sperare in Dio, l’indusse a ritirare l’ordine già dato ed a disporre ogni cosa per la mietitura come gli altri anni. Il consiglio di Giovanni fu accettato senza esitare. L’indomani i figli del Pinnavaria, entrati nel campo con la falce messoria, rimasero oltremodo meravigliati nel trovare le spighe stracariche di grano: essi eseguirono la mietitura; e poco dopo dalle spighe trebbiate venne fuori tal copia di grano che mai si era vista prima.
La moltiplicazione del pane e del vino
Nell’orto annesso al convento, chiamato appunto Orto degli Angeli, esisteva una vigna. Un giorno otto uomini si offrirono di zapparla gratuitamente. Giovanni gradì la generosa offerta; e, venuta l’ora del desinare, perchè quei buoni agricoltori non ricevessero altresì l’incomodo di mangiare a proprie spese, portò loro un pò di pane e una misura di vino che benedisse alla loro presenza. Sorrisero quelli al vedere una così scarsa provvigione; tuttavia considerando le strettezza in cui versava il pio istituto e molto la santità di Giovanni, non fecero alcuna osservazione e si sedettero a mangiare. Ma che! Quel pane e quel vino si moltiplicarono a tal segno che essi ne furono, non solo sazi, ma ne ebbero anche d’avanzo.