Vorrei attraversare le strade della nostra città, dei nostri quartieri, entrare nelle case, nei condomini, negli ospedali, nelle carceri, nelle nostre chiese, nelle nostre scuole, nelle aule universitarie, nei luoghi di accoglienza, nelle attività commerciali. Sento il desiderio di raggiungere tutti, di condividere con delicatezza e discrezione le gioie e i dolori, le amarezze e le attese, le lacrime e la disperazione, le nascite e i lutti. Affido questo desiderio di incontro a queste mie parole sgorgate dal cuore. Prendo in prestito un frammento de Il Cristo dei papaveri di C. Bobin, poeta e romanziere francese: «Nell’istante terribile in cui non c’è più niente da credere o da sperare ‒non più aria né porte ‒tu sorgi»(n. LXXX, p. 94). Lo stesso Bobin, nel breve racconto di Natale, Cuore di neve(1994), descriveva, riportando lo stato d’animo del protagonista, il sentimento diffuso che sempre più affiora in questo tempo incerto e oscuro della pandemia: sembriamo essere «come un marinaio perduto in alto mare, intento a scrutare con angoscia le onde immense che potrebbero inghiottirlo da un momento all’altro»(p. 6).
Sono parole che captano il desiderio di noi uomini e quello di Dio. Il grido dell’uomo e il pungolo del cuore di Dio che vuole sorgere nella nostra vita, accompagnarla, condividerla, assumerla, liberarla. E per questo, nella loro immediatezza, sono parole capaci di dare voce alla nostra fede, di farci acclamare, con la liturgia della Chiesa, a «Cristo, stella radiosa del mattino, incarnazione dell’infinito amore, salvezza sempre invocata e sempre attesa» (Messale, Collette perle ferie del tempo ordinario, n.34). Il tempo di Avvento sopraggiunge come tempo della speranza per sostenere‒a maggior ragione nel tempo della prova –l’attesa della venuta definitiva nella gloria del Signore Gesù.
Perché nel Bambino fragile ed esposto che incontrano gli umili abitanti delle campagne di Betlemme ci è venuta incontro, è sorta la «bontà misericordiosa del nostro Dio», che viene a visitarci dall’alto come «sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace»(Lc 1, 78-79). In quel Bambino nato dalla Vergine Madre, Maria di Nazareth, è sorta la luce. La Luce stessa si è levata sulle macerie della notte della vita. È tempo di donne e di uomini che ripartano dalle macerie della storia, come artigiani di speranza; di condivisione del peso di questo tempo di cammino che si inerpica su sentieri ripidi e sconosciuti.
È tempo di amicizie che aiutino a non spegnere il cuore, di custodire un cuore di bambino, di fare il possibile per rendere felici altri. È tempo di discepoli di Cristo che sulle ali della fede traccino, insieme alle donne e agli uomini di buona volontà, spazi di condivisione e di cura, attenti a riconoscere nel volto di ogni uomo e di ogni donna il volto di Dio che continua ad incarnarsi e che vuole essere amato in ogni persona, sua immagine. Forti solamente delle parole dell’Apostolo Paolo: «Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesti pienamente nella debolezza» (2Cor 12, 9). Con la Chiesa intera in questo tempo di Avvento preghiamo, gridiamo con fiducia, «come la sposa pronta per le nozze: vieni Signore Gesù, unica speranza del mondo»(Messale, Collette per le ferie del tempo ordinario, n.34).