Il viaggio migrante – a cura di P. Ennio Staid o.p.

Carissimi, mio nipote Andrea mi ha mandato un suo articolo accompagnato da una riflessione che voglio mettere sulla prima pagina. Non potrei iniziare questa lettera che scriviamo a tanti amici con parole più belle. Le faccio mie e le condivido con voi. Buon cammino a tutti.

“Opera senza interferire.
Assapora ciò che non ha sapore.
Accresci il piccolo,
aumenta i pochi,
ripaga il risentimento con la virtù.
Affronta il difficile quando è ancora facile
e il grande quando è ancora piccolo.
Nel mondo le cose difficili sono inizialmente facili
e le cose grandi sono inizialmente piccole.
Il saggio non cerca di fare grandi cose.
Perciò è in grado di realizzare ciò che è grande.
Chi promette facilmente
spesso non è in grado di mantenere le sue promesse;
chi trova tutto facile
spesso si imbatte in difficoltà.
Il saggio tratta ogni cosa come se fosse difficile
e di conseguenza per lui nulla è difficile”.

Ti penso tanto, intensamente, ti vorrei qui per condividere un lento quotidiano, immersi tra natura e gesti artigiani. Ti abbraccio forte, un abbraccio che di questi tempi è considerato sovversivo.

Il Viaggio migrante di Andrea Staid

In tibetano la parola usata per identificare “l’essere umano” è a-Go ba, espressione che può essere tradotta come “viandante”, colui che migra. Noi animali umani ci siamo sempre spostati, e questa è una caratteristica che ci accomuna con gli animali migratori. A pensarci bene, possiamo definirci dichiaratamente così: animali migratori. Attraverso il viaggio – fisico e oggi anche virtuale – le culture umane si incontrano, si conoscono e si giudicano nella loro incredibile varietà. Come ci ricorda lo scrittore e antropologo Giulio Angioni, questo mescolamento e questo sincretismo per contatto, così strettamente legati alla mobilità e alla migrazione, sono forse la sola “regola” di sterminati millenni di modi umani di vita, dai grandi imperi del passato al colonialismo moderno, fino all’attuale globalizzazione.

Perché partire

Il viaggio, parte fondante del processo di ominazione, cioè il farsi uomini nel tempo e nello spazio, attraverso una mutazione per contatto, è anche l’esperienza fondamentale sulla quale si costruisce il sapere antropologico. I motivi che spingono i migranti ad allontanarsi dal proprio paese sono tanti e diversi tra loro, ma credo fermamente che sia scorretta la separazione netta che solitamente viene operata fra migranti economici e rifugiati politici in cerca di protezione internazionale. Dobbiamo considerare che non sono solo le guerre a costringere gli esseri umani alla fuga, ma anche i cambiamenti climatici e la siccità, oppure lo sfruttamento del territorio da parte di multinazionali, che rende impossibile la vita nel proprio paese di origine dove cibo e acqua, beni indispensabili alla sopravvivenza umana, diventano difficilmente reperibili. Persiste ancora oggi un colonialismo economico occidentale (ora anche cinese) che non cessa di agire, e chi si sposta per fuggire da situazioni di crisi economica, povertà e guerre vede spesso impoverite le sue libertà e capacità di azione. Se è vero che l’uomo si è sempre spostato da una parte all’altra del globo, è ugualmente innegabile che negli ultimi vent’anni questo processo si sia amplificato notevolmente. Il fattore che accomuna tutti i migranti è la ricerca di migliori condizioni di vita.

Fortunatamente, non tutti hanno storie tragiche che li spingono a lasciare la propria casa e c’è anche chi migra per motivi affettivi, per esempio per riunirsi alla sua famiglia che vive in un altro paese diverso da quello natio. Disgraziatamente però sono troppe le ragioni perverse relazionate con gli investimenti delle multinazionali nei paesi del secondo e terzo mondo che spingono migliaia di persone a lasciare la propria casa.

“Invasioni”

Secondo quello che ci raccontano i mass-media, sembrerebbe che la meta dei migranti del nuovo millennio (rifugiati politici in primis) sia esclusivamente l’Europa, ma questa è una grande falsità. Vale la pena di ricordare che accanto ai viaggi che portano molti uomini e donne in Europa, la maggioranza delle migrazioni contemporanee si svolge all’interno dei singoli continenti. La maggior parte dei flussi migratori umani riguarda piuttosto lo spopolamento delle zone rurali e la sovrappopolazione delle aree urbane. È vero che in questo momento storico viviamo un’evidente accelerazione degli spostamenti umani, ma troppo spesso questi flussi migratori sono analizzati sulla base di dati falsi, parziali o non aggiornati. Difficilmente sentiamo i media parlare del fenomeno migratorio con un approccio globale e documentato. Quando si tratta questo argomento, l’atteggiamento è semmai allarmista e riguarda solamente i numeri dei migranti in arrivo in Europa, qualificando il fenomeno come una “invasione” del continente europeo da parte dell’esterno e invitando alla difesa delle “nostre” frontiere.

Mete molto battute dalle migrazioni interne nel continente africano sono il Sudafrica e i Paesi del Maghreb, in particolare la Libia, che conta da sola circa due milioni di migranti. Non dobbiamo trascurare anche l’elevato numero di rifugiati e sfollati interni, oltre due milioni, secondo i dati Onu, due milioni di esseri umani ai quali nella maggior parte dei casi vengono negati tutti i diritti di cui un rifugiato dovrebbe godere. La maggior parte dei rifugiati sono i profughi della regione dei grandi laghi e del corno d’Africa. Vivono nei campi profughi in Congo, Sudan, Uganda, Somalia, e in Costa d’Avorio, Ciad, Kenya, Etiopia e Sudafrica. Solo una piccola parte degli emigranti economici e dei richiedenti asilo politico africani ha come meta l’Europa. Con un semplice dato comparativo vorrei mostrare quanto sarebbe sensato abbandonare la falsa certezza delle “invasioni barbariche”.

Secondo l’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella gestione dei rifugiati), dal 2008 al 2016 sono arrivati in Europa via mare più di 1,8 milioni di migranti. Da sola la cifra sembra rilevante, eppure soltanto in Libano, uno Stato molto piccolo rispetto all’unione delle nazioni europee, ad oggi vengono accolti 1,1 milioni di rifugiati. Questo dato comparativo ci pone di fronte a una grande verità: anche ammesso che le persone arrivate in Europa negli ultimi 8 anni fossero ancora tutte qui, esse rappresenterebbero solamente lo 0,36% della popolazione europea. Se poi, per assurdo, tutti gli abitanti della Siria e dell’Eritrea si trasferissero in blocco in Europa, ancora sarebbero appena il 5% della popolazione. Tralasciando quindi le speculazioni politiche, mi sembra che l’accoglienza di queste persone sia più che possibile.

C’è poi un altro dato interessante sul quale vorrei richiamare l’attenzione: stilando una lista degli Stati che ospitano più rifugiati nel mondo, nell’elenco non figurano quelli europei. Sempre secondo i dati raccolti dall’UNHCR, tra i primi 8 Paesi con il maggior numero di profughi pro-capite non compare nemmeno uno Stato europeo. Purtroppo pochi cronisti e opinionisti citano questo dato importante, che ci aiuterebbe a considerare più realisticamente la portata delle migrazioni contemporanee. Per giungere quindi al nostro territorio, l’Italia oggi accoglie circa 1 profugo ogni mille persone, collocandosi ben al di sotto della Svezia (14,7 per mille) o della Germania (3,10 per mille). Sull’altra riva del Mediterraneo, in Medio Oriente, abbiamo visto che il Libano accoglie circa 1,1 milioni di profughi, pari a 1/4 della popolazione totale del paese, mentre la Giordania ospita 664.000 profughi, vale a dire 90 persone ogni 1.000 abitanti. Alla luce di questi numeri, non sembra più credibile parlare di rifugiati che “invadono” l’Europa.

Accordi disumani

Sappiamo già con certezza, ma è bene continuare a ricordarlo, che da anni le politiche europee oltre a finanziare personaggi come Erdogan o Leader della guerra Libici per internare, incarcerare, bloccare migliaia di migranti illegalmente, stanno di fatto condannando una moltitudine di persone alla miseria e alla clandestinità e che tanti, troppi sono i morti sul fondo del mare e sotto la sabbia dei deserti. Troppe le vittime di un viaggio che assume forme sempre più assurde e che costringe migliaia di donne e uomini a rischiare la propria vita. Chi riesce a trovare una via di fuga da tutto ciò che è costretto a sopportare nel Paese di origine, decide di intraprendere una traversata sperando di non dover più subire abusi e torture. Ma durante questi costosissimi viaggi non c’è alcuna certezza di giungere a destinazione. Molto spesso i vecchi pescherecci o i gommoni esausti utilizzati per queste rotte clandestine cominciano a danneggiarsi strutturalmente dopo poche miglia dalla partenza, imbarcano acqua a causa del sovraccarico di persone, viaggiando in condizioni che rendono estremamente incerta e pericolosa la traversata.

Alcuni migranti vengono buttati in mare, altri muoiono per ipotermia o di fame, altri ancora si spengono soffocati per la continua inalazione degli scarichi del motore, vecchio e mal funzionante. Potremmo arrivare a dire che questi sono ancora i fortunati, perché altri non riescono nemmeno a imbarcarsi e muoiono nel deserto; e per queste vittime non esistono cifre, sono le morti invisibili della nostra contemporaneità. Soltanto nel 2015, secondo i dati dell’UNHCR, abbiamo avuto 3.763 decessi in mare, più di 5.000 nel 2016, e 15.000 in totale nei tre anni precedenti. Il viaggio di ogni migrante, oltre a implicare un rischio vitale e un costo enorme in termini economici, comporta ingenti investimenti emozionali: non si tratta di un’avventura turistica, ma di una sfida, di una fatica. Ogni migrante è spinto dalla speranza di vedere realizzati un sogno, un progetto di vita, uno sforzo e un vero e proprio sacrificio.

 

Articolo tratto da Lettera agli Amici della Fraternità Agognate – Anno 21° n. 104 maggio 2020

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