Narrano le antiche cronache che… il 24 maggio 1594 “Venne una volta in Augusta una armata turchesca di galere, e sbarcati in terra et messi in ordine li squadroni per andare a saccheggiare la città e bruciarla, comparve S. Domenico col proprio habito a cavallo a un fiero e bravo cavallo, accompagnato da moltitudine grande di cavalleria e correndo verso l’esercito turchesco con tanto furore, velocità e terribilità, che pareva volesse annichilire e devorare la terra ed anco il mare, onde li turchi furono costretti ad imbarcarsi in fretta, gettandosi molti in mare e lasciando sparse per quelle campagne le armi, come scimitarre, frecce et simili et anco molte giubbe e turbanti, per lo grande spavento che ebbero”.
Ancora una volta, S. Domenico aveva dimostrato il suo amore verso la Città che lo onorava da tempo immemorabile, come patrono, come dimostra la frase incisa nell’abside della chiesa a lui dedicata che, insieme a quella di Piazza Armerina è una delle più antiche dedicate a lui al mondo: “IN TE SPERAVERUNT PATRES NOSTRI ET LIBERASTI EOS”. Così come avvenne poi ufficialmente, con il decreto di Urbano VIII nel 1643.
Ma questa immagine di San Domenico “spadaccino a cavallo e furente come se volesse divorare la terra e il mare, per mettere in fuga i nemici” non è stata né accettata né amata, all’infuori di Augusta e di una piccola statuetta in cera, esistente a Malta (allora facente parte della stessa Provincia della Sicilia). Infatti non esiste altra raffigurazione dell’episodio nei numerosi conventi, monasteri e chiese dell’Ordine Domenicano esistenti al mondo, cosa che invece avvenne per un analogo episodio avvenuto a Soriano Calabro (VV) nel 1530, con la consegna miracolosa di una Tela raffigurante San Domenico da parte della Vergine Maria con S. Maria Maddalena e S. Caterina d’Alessandria, patrone dell’Ordine.
Come mai i Domenicani che erano impegnati a diffondere i miracoli di San Tommaso d’Aquino, S. Caterina da Siena e di San Vincenzo Ferreri non ha diffuso un episodio così straordinario che riguardava il loro fondatore?
La risposta, forse, la possiamo trovare nelle fonti contemporanee allo stesso San Domenico, come anche i testimoni del processo di canonizzazione svoltosi a Bologna e Parigi che, infatti lo descrivono “buono, mite, gioviale e pacifico” che camminava a piedi scalzi (fuori le città) e che si dissociò dalle crociate, condannandole apertamente, in particolar modo dall’azione violenta di Simone conte di Monfort? (cfr Humbert Vicaire, Storia di S. Domenico, Cinisello Balsano, 1983, p. 278).
Anche se di carattere “forte e deciso”, basti pensare a quanto rispose al vescovo di Tolosa, Folco, il quale non voleva che i pochi frati, da poco radunati, fossero mandati a predicare per l’Europa: “So quello che faccio. Il grano ammucchiato marcisce, mentre se viene seminato porta frutto” e, si affermava, ancora di lui che “era da tutti amato perché tutti amava”.
La domanda e l’obiezione di chi conosce la vita di San Domenico è semplice e significativa: “Non è possibile, San Domenico che combatte a cavallo e armato di spada…?”.
L’arte che, come sappiamo, è espressione, anche, del sentimento del popolo e della sua devozione popolare che percepisce immagini e sentimenti come propri per accettarli e trasmetterli, diventa la prova che l’immagine anche se cara ai cittadini di Augusta, rimane accettata solo in questo ambito locale.
Se una spada, San Domenico ha impugnato, è stata quella del Rosario espressione del suo amore alla Parola di Dio, spezzata per i piccoli i grandi, i dotti e gli ignoranti per rendere la lode alla Verità per messo della fede di Maria Vergine.
Padre Giovanni Calcara o.p.