Forse, noi che ci definiamo “credenti” e difensori dei “veri” valori siamo i primi a dover recuperare il significato “cristiano” del Natale, per non rischiare di fare festa senza il Festeggiato. E mentre noi sostenevamo la battaglia contro la decisione della Comunità Europea di eliminare il Natale, anche nel linguaggio comune, la maggior parte dell’attenzione dei social, in quelle stesse ore, era focalizzata sull’abbandono di un cane in un aeroporto degli Stati Uniti legato ad un palo, da parte dei loro proprietari sprovvisti dei permessi necessari per imbarcarlo con loro sull’aereo.
Ormai combattiamo solo battaglie “superate” che, stentano ad affermarsi come vitali e necessarie, per gli stessi credenti, figuriamoci gli altri… Così una bimba nasce in una nave nel Mediterraneo e viene chiama SOS, come l’organizzazione che l’ha soccorsa. Altri profughi muoiono inghiottiti dalle onde come dalla nostra ipocrisia, e i confini vengono difesi dai fili spinati e dai pescherecci di Mazara sequestrati dai libici. A Torino gli operai muoiono travolti da una gru in pieno centro, altri schiacciati da macchinari che, invece, dovrebbero dargli da vivere. La legalità e la giustizia restano argomenti dei soli dibattiti degli addetti ai lavori, la politica delegata alla gestione dei potere, l’economia ai tecnocrati e non al servizio della persona.
Ecco allora il grido: salviamo il Natale! Cioè le previsioni di crescita del PIl, i ristoranti aperti, le piste di sci accessibili, lo shopping comunque e dovunque, il futuro del Paese che dipende dal fato. In fondo, l’importante è la salvezza dell’economia e non l’economia della salvezza. E il “Fratelli tutti” uno slogan e una citazione per “sfoggiare” la nostra adesione al magistero del Papa, per poi fare prevalere i nostri giudizi e pregiudizi.
La pandemia, invece di rinnovare l’impegno e il servizio verso l’altro, ci ha fatti ripiegare su nostri stessi e i nostri interessi personali. Non riusciamo più, come dice papa Francesco a pensare al “noi”, al destino comune del nostro prossimo come dell’umanità intera. A non porre tutto e tutti per il bene di tutti, prevaricando e negando la dignità e il futuro dei piccoli e dei fragili, non tessendo strategie e alleanze nella giustizia e nella solidarietà. I giovani, continuano ad essere tenuti lontani ed emarginati dai centri decisionali, come le donne, sia dalla Chiesa che dalla Società civile. Lo sviluppo inteso solo come “economico” e non “integrale”, come auspica papa Francesco.
“Venne tra i suoi”, così il Prologo di san Giovanni, ma “i suoi non l’hanno accolto…”. Prima di pretendere che siano gli altri ad accogliere il Verbo che si fa uomo, chiediamoci se noi siamo disposti a fare di noi, la sua “dimora tra gli uomini”. “Non abbiate paura di Cristo” così gridava in piazza San Pietro il papa “venuto da lontano”, forse è giunto il momento di fare nostro l’invito di S. Giovanni Paolo II e di coniugarlo con il quotidiano della nostra esistenza.
Madre Teresa di Calcutta, affermava che “sarà Natale se…”, a noi spetta completare l’espressione e la preghiera di questa donna che, imitando Gesù nell’umiltà, il servizio e la fraternità ha vinto le tenebre del mondo, quello che auspica papa Francesco parlando alla Curia Romana.
Accanto alla culla, troveremo una Madre che, Caterina da Siena, indica come “il libro, in cui oggi è scritta la regola nostra”, impariamo da Lei come si accoglie, genera e dona il suo Figlio. E allora saremo capaci, non di donare, ma di donarci. Come ha fatto Dio, donandoci non un figlio, ma l’Unigenito: Salvatore del mondo! E allora saremo capaci anche di guardare alla Croce: “volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”. Da Betlemme al Calvario: un’unica storia di salvezza e di amore. E allora sarà non il ricordo del Natale, ma l’incontro della mia vita con quella di Gesù Cristo: nato, morto e risorto per me!
Padre Giovanni Calcara, o.p.